E. Rüsch: L’arte della scagliola a intarsio in Ticino

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Titel
L’arte della scagliola a intarsio in Ticino.


Autor(en)
Rüsch, Elfi
Erschienen
Bellinzona 2018: Casagrande
Anzahl Seiten
171 p.
von
Sandro Baroni

Inserito nella prestigiosa collana “Arte e Monumenti” delle Edizioni Casagrande, il volume di Elfi Rüsch, L’arte della scagliola a intarsio in Ticino, resterà, certo per molti anni a venire, monumento anch’esso della instancabile attività di ricerca e studio pluridecennali della maggiore conoscitrice di scagliola intarsiata in territorio ticinese.

L’opera costituisce in primis la puntuale e meticolosa catalogazione dei quasi duecento paliotti di scagliola intarsiata disseminati nei territori del Canton Ticino: Tre Valli (Blenio, Leventina e Riviera), Bellinzonese, Locarno e Locarnese, Terre di Pedemonte e Valli Locarnesi (Centovalli, Maggia, Onsernone, Verzasca), Lugano e Luganese, Mendrisiotto, comprendendo anche le sopravvivenze frammentarie, spesso collocate in precario stato di conservazione in ripostigli e depositi di chiese e cappellanie, talvolta sparse anche in remoti contesti montani.

Il valore della pubblicazione di un catalogo di questo genere, già di per sé più che meritevole per completezza e accuratezza, è indiscutibile anche ai fini di ogni futura ricerca nello stesso ambito e costituisce certo la piattaforma o premessa, rigorosa per metodo scientifico, sia a futuri approfondimenti e sviluppi di ulteriori ricerche, sia al quotidiano esercizio di storici dell’arte, conservatori e restauratori. Tuttavia il profilo della pubblicazione, per chiarezza della esposizione e anche per merito delle belle riprese dell’album fotografico di Ely Riva, rende la lettura di quello che potrebbe altrimenti essere solo un freddo strumento di lavoro, accessibile, fruibile e piacevole anche ad un pubblico colto, non necessariamente specialistico ma semplicemente incuriosito «da questi incredibili lavori di abilità manuale artigianale, di illusionismo cromatico e di imitatio naturae» che sono testimonianza della storia del territorio.

Un libro che non potrà mancare quindi nelle biblioteche di specialisti così come in quelle di appassionati dell’arte e delle tradizioni locali, raddoppiando così il proprio valore nella capacità di estendere anche ad un più vasto pubblico di lettori i propri obiettivi e risultati scientifici.

A seguito della introduzione, dove vengono chiariti aspetti di contestualizzazione della ricerca (altri inventari e studi regionali) e vengono definite le finalità del lavoro, Elfi Rüsch con la chiarezza, sobrietà e semplicità di chi possiede limpida e maturata visione delle problematiche affrontate, guida il lettore attraverso una serie di brevissimi capitoli che in realtà nascondono spesso l’apertura a problematiche di studio e possibili rilevanti indirizzi di ricerca per quel genere di manufatti che sono le scagliole ad intarsio. I capitoli potranno parere ad alcuni forse scarni, ma vanno integrati e anzi letti alla luce della bibliografia tematica, raccolta e presentata dalla autrice in apposita appendice bibliografica.

Nel breve capitolo I termini paliotto e scagliola l’autrice definisce l’oggetto sottoposto a ricerca e, anticipando altri consistenti richiami sparsi per tutto il libro, distingue chiaramente le produzioni di scagliola intarsiata da quelle di altre tecniche, dai risultati visivamente e superficialmente analoghi, ma dalle procedure esecutive assai diverse e semplificate.

Solo apparentemente ingenua e quasi scontata, l’attenzione a fornire questa precisazione non è inutile, ma anzi di piena attualità e si spera utilità futura. Una cosa infatti sono le cosiddette opere ad intarsio ed un’altra le imitazioni dipinte realizzate attraverso vari metodi. L’evidenza di continui e grossolani misconoscimenti tra tecniche profondamente differenti, quali ad esempio la costante e grave confusione tra scagliola dipinta e scagliola intarsiata, affiora purtroppo spesso anche oggi nella più qualificata letteratura dedita alla scagliola intarsiata. Se già Graziano Manni, pubblicava nel 1997 nel volume I maestri della scagliola in Emilia Romagna e Marche due paliotti, in realtà semplicemente dipinti, conservati nella chiesa di San Michele a Vallico di Sopra (Lu), confondendoli con produzioni ad intarsio, ancora, nel ben più recente inventario delle diocesi piemontesi Paliotti. Scagliole intarsiate nel Piemonte del Sei e Settecento edito nel 2012, un intero, ampio capitolo monografico viene dedicato alla bottega valsesiana dei Marca. Qui si utilizzano sin da subito termini inequivocabili come «intarsi a finto marmo» per descrivere un gruppo di tredici opere che in realtà sono semplicemente intonaci dipinti in rivestimento ad altari. In mancanza di analisi petrografiche si può perlomeno ritenere dubbio che detti manufatti siano realizzati in scagliola (potrebbero essere infatti intonaci marmorini) ed altrettanto che si possano definire paliotti, poiché originariamente realizzati e saldamente aggrappati alla mensa dell’altare e non mobili o di rivestimento a questo, come segnalano alla voce «paliotto» i migliori dizionari della lingua italiana e la stessa etimologia del termine. Naturalmente i paliotti in questione, che sono dipinti, figurano anche a catalogo, ben fotografati ed inclusi nel relativo inventario generale inerente le scagliole intarsiate piemontesi.

Tornando, ora, al libro della Rüsch, il capitolo Fonti documentarie e modelli affronta in primo luogo la non trascurabile tematica della individuazione e interpretazione delle pur discontinue e talvolta ambigue menzioni di paliotti in scagliola nelle documentazioni di archivio. La problematica è in fondo analoga a quella delle citazioni di finiture architettoniche in «scagliola» che si può trovare in inventari e descrizioni di palazzi nobiliari della stessa epoca. Lo studioso si trova spesso alle prese con rivestimenti parietali, pavimenti, camini, cornici, dove vengono descritte questo genere di finiture. Ma queste sono intonaci a componente totalmente o parzialmente gessosa semplicemente levigati e lucidati, oppure son «stucchi marmi» realizzati con meschie ad imitazione del marmo, o ancora si tratta di intonaci gessosi lisciati e dipinti ad imitazione del marmo con tecniche varie, tra cui spesso prevalente è quella al sapone? Nella lettura di citazioni documentarie riguardanti la «scagliola » l terreno dell’interpretazione diviene infido: ragionarne con prudenza e attenzione, come fa l’autrice, è fondamentale al fine di evitare i più grossolani errori.

Il tema dei modelli è certamente uno tra quelli più affascinanti e ancora per buona misura irrisolti nello studio dei paliotti realizzati in scagliola ad intarsio. Proprio in questo ambito Elfi Rüsch ha prodotto contributi assai importanti negli scorsi anni individuando, riguardo ai nostri paliotti, medesimi modelli utilizzati anche da artigianalità diverse, in particolare legate alla lavorazione del ferro battuto di balconcini e ringhiere.

Il capitolo Iconografia tra sacro e profano sviluppa sia le tendenze generali che le scelte particolari di elementi iconografici ricorrenti nella mise en page delle lastre costituenti i paliotti. Una tabella riassuntiva rende conto delle principali scelte relative a stemmi, motti, dediche e citazioni presenti in particolare nei paliotti ticinesi in catalogo.

Non si può parlare di scagliola intarsiata senza toccare il tema delle botteghe: nel capitolo Botteghe prealpine, intelvesi e nostrane l’autrice cerca con molto equilibrio di tirare sinteticamente le fila della complessità di problemi legati alla produzione di questi manufatti in ambito ticinese. Dopo aver accennato alle maggiori e più vistose presenze (Solari e Pancaldi) l’autrice si volge intelligentemente al tema della formazione degli scagliolisti e alla organizzazione del lavoro, al trasporto dei manufatti ed ai prezzi correnti, fornendo anche una interessante tabella riassuntiva delle attestazioni di pagamento delle differenti prestazioni.

Per concludere: vi sono spesso libri che chiamano il recensore alla riflessione su limiti o lacune della ricerca che esprimono, ma, come in questo caso, ve ne sono altri che impongono il paragone con i limiti di altre ricerche, di altri libri. Se dopo Recensioni il censimento dei centri di produzione presentato dalla Rüsch, la situazione ticinese può apparire ora abbastanza chiara e gli studiosi potranno giovarsi di un solido e imprescindibile catalogo, utile ad ogni approfondimento, non così si può dire ad esempio per l’analoga e ben più vasta produzione genericamente “lombarda”. Nonostante le apparenze, qui, su questo fronte molto lavoro resta ancora da fare. Sebbene alcuni importanti contributi di Micaela Mander abbiano messo in luce per la Lombardia notevoli episodi, la fase iniziale della diffusione della scagliola intarsiata ad esempio nello Stato di Milano mostra ancora troppo ampie zone d’ombra. Ben prima di qualunque produzione intelvese, attorno alla famiglia e alle botteghe dei più noti Leoni collaborano o gravitano autori che cominciano ad uscire solo ora dall’ombra. Così il “Proffit gallicus” (Giacomo Proffit) che firma o appare riconoscibile in oltre una decina di opere sparse tra Lombardia e Piemonte; l’anonimo PACF che dissemina la propria opera negli stessi territori e realizza, tra altre opere altrettanto numerose, il grande paliotto dell’altar maggiore di Chiaravalle milanese, lasciando pure un controaltare ora nel duomo di Vigevano, siglato e datato 1673. Ancora non identificato, né chiaramente collocato nel tempo, resta il fecondo autore dei paliotti di Abbadia Cerreto.

Insomma, la pianura ed i principali centri cittadini lombardi brulicano di due generazioni di scagliolisti, assai prima della nascita delle botteghe intelvesi. La questione qui non è semplicemente cronologica o squisitamente di ordine classificatorio o attribuzionistico. In questa prima fase della diffusione della scagliola intarsiata in Lombardia il profilo delle committenze è assai diverso da quanto sembra suggerire l’indagine sul successivo affermarsi delle botteghe intelvesi. Le committenze sono di elevato profilo legate a grandi famiglie nobiliari come i Trivulzio che si rivolgono ai Leoni a San Fiorano nel Lodigiano e a Sant’Alessandro a Milano. Al pari, sempre per i Leoni, non mancano incarichi attribuiti da importanti ordini religiosi come i Teatini a Sant’Antonio a Milano e a Santa Cristina a Parma e i Gerolamini a Ospedaletto Lodigiano e San Sigismondo a Cremona. I Certosini commissionano opere in scagliola intarsiata a Proffit come in Certosa di Pavia e San Colombano. Infine l’anonimo PACF opera per i Cistercensi a Chiaravalle e nella Cappella del Vescovo di Vigevano Caramuel de Lobkowitz e ovviamente questo vale anche per l’anonimo autore dei paliotti di Abbadia Cerreto.

Anche le sorprese, a ben guardare non mancano, tra gli innumerevoli inediti di province come Brescia, Bergamo, Mantova e soprattutto Pavia: ancora enigmatica resta la presenza di uno scagliolista di formazione emiliana che realizza quella che potrebbe essere in assoluto una delle prime attestazioni della scagliola intarsiata in territorio lombardo: il paliotto della potente confraternita di Santa Maria del Gonfalone, nella Chiesa di Santa Marta a Broni.

Manca purtroppo per la Lombardia, un censimento serio come quello di Elfi Rüsch, rigoroso per metodo, esaustivo per estensione, attendibile nella identificazione della tipologia tecnica degli oggetti. E il progresso degli studi, invece, proprio da lavori come questo non può prescindere.

Zitierweise:
Baroni, Sandro: Rezension zu: Rüsch, Elfi: L’arte della scagliola a intarsio in Ticino, Bellinzona 2018. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 166, pagine 166-168.

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Zuerst veröffentlicht in

Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 166, pagine 166-168.

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